Si sta per concludere il primo ventennio del XXI secolo. Sembra lontano il millennium bug. Lontano il momento in cui, solo e attonito, fissavo la parete verde del mio ufficio con senso di sconforto, appena ricevuta la notizia delle torri gemelle. Lontani gli attentati, indietro le crisi economiche, i contrappassi personali, l’amore e la passione, i viaggi e la fortuna di un figlio. Lontana, la storia di tutti.

Vent’anni passati in un soffio che sembrano antichi, per quanto sono stati determinanti. Steve Jobs risorge e muore. Nascono gli smartphone e le compilation si estinguono. Il primo presidente quasi nero. I Royals vincono, e i Cubs (!). Tutti fanno foto. Tutti dicono la loro. Si avvera la profezia di Wharol. Termina la legge di Moore. Le destre si ergono, dopo aver conosciuto Cialis. Sono più i separati degli ammogliati. La settima arte copula con l’ottava. Si vedono serie e tutto è connesso. Stentano l’ipertesto e l’iperimmagine, ma i nerd diventano di moda. E la lista prosegue, se si desidera.

La Cina supera i fatturati di tutti. Ci sono più indiani che cinesi. L’Europa si rompe, cioè si sbriciola, come ha sempre fatto. La Nigeria produce più film degli Stati Uniti, ma meno dell’India – ma per poco. Si affermano i trombamici, ma non è una novità. Si scioglie il congiuntivo in modo universale. La guerra economica deflagra silenziosa. La guerra del golfo sfuma come un gradiente vettoriale. Il deserto è una meta vacanziera. Fa un caldo sempre più caldo, tranne a volte. Ma è il progresso, che davvero farà danni nei prossimi cent’anni. Nascono le dot.com, e muoiono. Nascono tante startup, e muoiono. Nascono le app, e muoiono. Rinasce il marketing ogni anno, come se vendere  fosse la novità del millennio. La politica adotta i toni del popolo, letteralmente. Nascono i dibattiti senza dibattito, e le tribune senza tribuni. Sulle tribune, intanto, si sposta il tifo volgare. È un ventennio volgare, ma per i ventenni normale. La Normale e le istituzioni sembrano voler evolvere: che per un Neanderthal un Sapiens era brutto.

Così, restiamo stretti nel dilemma che fu dei primi vent’anni del novecento. Tra dietro e davanti, tra prima e dopo, stanno lì i media, i metodi, i discorsi, le pratiche, le abitudini e il sentire. Ma i pensieri, tirati dal passato e dal futuro, si allungano. Ed è per questo che le cose si fanno veloci, come spiegò Einstein. Resta solo da sperare, nel parallelo col centennio lungo, che l’enorme progresso che si prospetta non dipenda, come nel secolo scorso, dalla stupidità umana.

Sono vent’anni che preludono al meglio, a ben vedere. All’orizzonte Marte, con tanta acqua su che ci si potrebbe costruire un maremoto. E tanta tecnica e tecnologia e tecnicismi, che ci fanno vedere le cose in modo tanto diverso.

Gli esopianeti, la fantasia, l’Africa che è l’ultima frontiera.

Questo ventennio è una fionda, sembra evidente. Stiamo attenti al proiettile da usare .