Qualche tempo fa, quando scrivevo per una testata giornalistica, mi chiesero di rispondere all’email di una lettrice. Il tema era “certa” pubblicità, mi ci buttai a pesce. Ecco come:

È giunta in redazione l’email di una lettrice. Il tema è interessante, come il suo punto di vista: “Salve, mi chiamo Cristina, vorrei condividere con voi un mio pensiero… e capire se anche altre persone lo condividono con me. Per lavoro passo spesso in via Sarzanese, e proprio sullo sbocco di via Einaudi trovo un cartello assai fastidioso per i miei gusti. Non per un fatto morale, perchè ognuno deve scegliere ciò che sente di fare, ma per il rispetto verso noi donne, continuamente strumentalizzate dai media a fini speculativi, a discapito della nostra immagine che è ben diversa da quello che ci vogliono inculcare da anni: «la macchina del sesso»…  questo cartello pubblicizza un luogo dove avverrà un incontro di lotta tra donne in topless… mi chiedo: ma un bambino, vedendolo, che idea si farà di noi donne?”.

Una rapida ricerca in rete non offre risultati utili, poi abbiamo reperito la foto del cartellone pubblicitario, per chiarirci le idee. Naturalmente non la pubblichiamo.

Occorre una premessa doverosa, tuttavia.

Finché non si viola la legge si ha tutto il diritto di presentare quel che si vuole. Non è certo infrequente vedere cose di dubbio gusto a tutte le ore del giorno su ogni mezzo. Gli stessi cartoni per bambini, ormai, sono ricchi di riferimenti ambigui sul posizionamento del genere femminile, come le serie televisive interpretate da oche, o l’ambizione-velina che continua ad essere il modello principalmente praticato da schiere di giovanissime attratte dall’opportunità di una vita agiata costruita sulla bellezza e non sulla capacità, il modello dell’apparire anzichè essere.

Per millenni si è relegata la donna ad un ruolo secondario, finchè le guerre e le lotte di potere sono state vinte e perse dalla forza fisica: la vis non è mai stata un tratto femminile diffuso nella storia. Oggi le guerre si combattono e si vincono con armi che rendono la donna forte quanto un uomo, la rivoluzione industriale e poi quella commerciale hanno spostato il peso della forza su un piano meno fisico e più intellettuale, attribuendo progressivamente qualità paritetiche alle capacità di raziocinio, di relazione e di strategia, tanto agli uomini quanto alle donne. Ma viviamo ancora una lunga fase di contrappasso nel mondo. È un pianeta per maschi, solo poche specie fanno eccezione.

Auspicabile quindi per noi individui senzienti discutere di etica della comunicazione: chi fa sul serio il mestiere di pubblicitario, oltre la ricerca del profitto ad ogni costo, sa bene che ha un ruolo pedagogico: si ha una innegabile, sottile e pervasiva influenza sulle persone, tanto da determinare stili di vita e bisogni che le persone non hanno. Non è sbagliato farlo, può essere sbagliato il come.

Bill Bernbach, cofondatore della grande agenzia DDB, poi parte del gruppo Omnicom, uno delle più grandi holding per la pubblicità, le pubbliche relazioni ed il marketing nel mondo, disse: “Tutti noi che usiamo professionalmente i mass media diamo forma alla società. Possiamo renderla volgare. Possiamo brutalizzarla. Oppure possiamo contribuire ad elevarla ad un livello superiore.” La storia recente, anche in Italia, ci ha mostrato i risultati della pubertà pubblicitaria, negazionista e ormonale.

Per questo dovrebbe essere cura di chi comunica produrre messaggi e contenuti consapevolmente, sfruttando i giusti canali, trattando i linguaggi e i segni con saggezza. È il modo migliore per rendere condivisibile un prodotto o un servizio. Sarebbe anche necessario riflettere sui confini del buon gusto, o sugli influssi che la retorica delle religioni e del potere hanno prodotto, determinando dinamicamente diverse sensibilità in luoghi diversi del pianeta o in relazione ai livelli di scolarizzazione, e di cultura. Per questo ogni lettore ha una sua opinione, ed è utile condividerla.

Occorre fare una considerazione anche sul mezzo: l’affissione, il poster pubblicitario, il cartellone. Che per sua natura ha una durata ed una efficacia particolare rispetto a qualunque altro mezzo. È grande, è messo in posizione strategica. Resta esposto per quindici giorni, almeno. In gergo viene definito il mezzo del “tutto o niente”.  Con diverse chiavi di lettura: le più evidenti sono legate alla fruizione – di solito lo vediamo in macchina, comunque in movimento, gli spazi sono disposti lungo le strade. Questo rende il mezzo – potenzialmente – particolarmente mnemonico, come nel caso della lettrice, o completamente ignorato. Lo spazio del cartellone massimizza il messaggio, lo fa grande. Per questo lo rende fortissimo, o debolissimo. È uno strumento da trattare con grande cura, proprio per la sua particolarità e potenziale efficacia.

Il manifesto indicato da Cristina, in effetti, suscita attenzioni critiche, annullando di fatto tutta la sua efficacia sia verso il pubblico femminile (che ignorerà il messaggio nella migliore delle ipotesi, ma potrà condividerlo con altri molto negativamente), sia per il pubblico maschile più attento all’etica critica. Certo, per qualcuno sarà efficace. Andrà al locale, a vedere quello spettacolo. Però – e in questo è davvero poco adatto – è come se per colpire un merlo gli avessero sparato con un bazooka: i danni intorno sono ben gravi. Certi committenti comunque pagano, non c’è obbligo di supervisione del messaggio da parte di chi offre spazi, l’unica logica è quella del profitto.

In conclusione, per rispondere a Cristina, quel cartello è solo bruttissimo, oltre a comunicare malissimo. Ma è legalmente inoppugnabile. Quello che possiamo fare è discuterne senza far pubblicità a chi lo commissiona, parlare coi nostri bambini e provare a formare una società migliore, diffondendo le nostre idee.

Quando certi pubblicitari non ci arrivano.