MADRID (Spagna), 11 dicembre – Dieci anni dopo, a Madrid, l’aria non è più la stessa. Il fermento e i colori vivaci, quel senso di freschezza e l’ingegno creativo visibile ad ogni angolo delle calles del centro come delle avenidas più periferiche, che rendevano l’aria frizzante anche in una calda giornata di fine maggio, hanno lasciato definitivamente la città. In soli dieci anni la stupidità di un continente avviluppato su sé stesso e le psicopatie finanziarie hanno colpito anche il paese che più di ogni altro in Europa mostrava uno sprint che sembrava inarrestabile.

Oggi, vicini al natale cattolico in un paese estremamente cattolico, in quel paese che aveva dato l’idea del piglio al vecchio continente, si corrobora lo stesso pensiero che infine affligge l’Italia e l’Europa, la stessa comunicazione pervasiva e minacciosa della crisi, al mantra del “mucha gente, poca compra”. 

Se la gente non compra, uno dei motivi è la comunicazione della crisi. La comunicazione del disagio, la comunicazione del problema. Che non è (quasi) mai aderente al vero problema. Certo c’è la difficoltà. Ma non è determinata dalla crisi del mercato dei beni, che ne è conseguenza.

Il mercato, come le email, non muore e non morirà. In primo luogo occorre capire che cambiano gli equilibri planetari, e possiamo solo adattarci.

Soprattutto – e da tempo – buona parte della comunicazione che ci raggiunge dai canali principali – e ormai anche da certi siti web di informazione allineati – sposta l’attenzione della gente dal vero problema. Come diceva Henry Ford ormai un secolo fa, “le persone non comprendono il sistema bancario. Se lo capissero ci sarebbe una rivoluzione domattina.”

Ancora oggi si riesce a vedere l’espressione di quel fermento spagnolo che è stato, perché la Spagna vince in certi sport, vince nell’esportazione dell’arte e nell’espressione creativa, rispetto a molti nel mondo. E influenza ancora fortemente le sue ex colonie. È la coda lunga, lo vedremo presto.

Noi d’Italia, che abbiamo subito i tormenti del sistema finanziario forse prima dei vicini iberici, l’abbiamo già vista, la coda. La cultura ispanica, così carica di tradizione, complessa e ricca quasi fosse un continente a sé, ora mostra qualche stanchezza e vetustà. In Europa, alla fine, non c’è però diversità di voci.

Le iniziative di chi demagogicamente (o solo stupidamente) pensa di contrastare le estensioni del sistema sono inutili, perfino dannose. Fino al gesto inconsulto dei pacchi bomba.

Si continua a colorare la comunicazione con tonalità adatte a distogliere l’attenzione dal tema centrale: chi vuole perpetuare la crisi, chi controlla e gestisce la crisi del mercato dei beni?

La comunicazione, l’informazione, dovrebbe occuparsi di questo. Invece che di politica, di sciocchezze televisive di costume, di bipolarismo asfittico e impraticabile, di dar colpe o assoluzioni. Invece che dei sistemi peculiari. Invece che delle inconcludenti diatribe farcite di nostalgia condotte dalle persone, per strada e negli spazi aperti dell’internet. Invece di notare che il sistema finanziario stesso determina il mercato, che le agenzie di controllo sono parte integrante del gioco, senza regole di ingaggio.

In Spagna – tempi tecnici – l’eletto Mariano Rajoy dialogava ogni giorno con Zapatero, fino al suo insediamento del 20 dicembre. Parlavano di riforme della costituzione. Parlavano in tv, assieme. Un segnale diverso, di come la politica sembrasse voler superare il guado e contrastare – forse – il problema. Comunicati congiunti, sintonia, determinazione. Comunicando uniti, gli spagnoli speravano.

Intanto, dopo la visita all’interno del Palacio Real, sontuoso reliquiario di un potere che fu, due passi per la Calle Mayor, fino alla Puerta del Sol, quattro passi per Calle de Alcalà ed eccoci al centro del potere spagnolo. Non è il Senado, non è il Congreso de los Diputados. È il Banco de España, distante solo 300 metri dalla sede della Bolsa de Madrid, curiosamente sita in Plaza de la Lealtad.