La storia che costituisce pretesto di riflessione è un’accaduta polemica critica sullo spot pubblicitario promosso dal MIUR per la nuova scuola del 2012, ideato da Riccardo Luna, capace comunicatore, consulente e giornalista italiano.

Il film pubblicitario voleva essere una esortazione allo studio come strumento per migliorarsi, per l’amore di sé e del proprio futuro. L’obiettivo di comunicazione, contrariamente alla strumentale indicazione dei detrattori, non era far riflettere sulla scuola, ma sul risultato che offre a chi la vive: il sogno di un futuro migliore per i giovani studenti, destinatari emotivi del messaggio con gli stakeholders tutti.

In questo senso lo spot era encomiabile, in molti sensi educativo, perfino. La polemica nacque, è opportuno ricordarlo, sulla scelta di girare il film in una scuola privata di Milano anziché in una scuola pubblica. Fu enfatizzata (ed anche, con identici risultati, ignorata) da molti media, che ne minarono così la qualità esortativa.

Molta della critica – intesa come strumento di denigrazione – fu reiterata da mezzi (stampa e informazione digitale) che avevano numeri di lettori in calo: la strategia era quella di comprare ascolto con l’espediente narrativo dell’iperbole negativa. Una tattica diffusa, blandita anche oggi da molti.

Fu dato risalto alle voci più negative, portando l’informazione su toni aspri, appunto iperbolici, perfino rinvigoriti poi sui mezzi digitali dai commenti pieni di livore di (pochi) beceri, da sempre avvezzi ad utilizzare gli spazi privi di barriere dell’internet per urlare un dissenso acritico.

Affermare che lo spot era “scandaloso”, perché si era usata una scuola privata invece che una pubblica, era scandaloso, sia consentita l’anafora ad un pubblicitario.

Era come accusare di frode una ragazza che si trucca per farsi bella. 

La scuola – ancora e sempre – ha bisogno di farsi bella: dobbiamo essere in grado di scorgerne la bellezza, per raggiungerla. È iniquo e tendenzioso spostare l’attenzione in specifico sulla scelta di una location, che sarà stata fatta per motivi di convenienza o altro, non importa. Non toglie né aggiunge nulla alla qualità del messaggio. Che era un’esortazione per i giovani studenti ad amare la scuola.

Nella strategia mezzi che fu predisposta per la campagna televisiva c’era anche un minisito dedicato, con un unico link al Tumblr dell’allora ministro Profumo. In quello spazio, dedicato ai contributi degli utenti, subito congelato (incapacità o assenza di budget?) a causa del proliferare di voci “contro”, c’era anche un video in cui Alessandro Baricco raccontava una cosa straordinaria per quanto semplicemente vera: “la scuola è una collezione di momenti inutili, alle volte perfino noiosi, ma custodisce una decina di momenti che cambieranno per sempre la tua vita.”

Non serviva, al messaggio, spostarlo sul fronte delle proteste degli insegnanti. Non serviva cambiare prospettiva verso la causa dei precari.

Non perché non fosse lecito protestare, ma perché accanto alla protesta per quello che non c’è non si doveva e non si dovrebbe mai perdere la voglia di amare quello che c’è. Come il diritto ad una scuola migliore, sollecitato da una leva emotiva che spingesse il prospect, genitori e studenti, a chiedersi come poter contribuire.

La scuola italiana, localmente o istituzionalmente, spesso si è prodotta in esperimenti di comunicazione contrastanti, tra provvedimenti che affliggono e iniziative che esortano. Comunicazione che produce refusi e malcelate irritazioni in quella parte di persone le cui idee vengono definite pensiero comune a determinare l’opinione pubblica

L’analisi che abbiamo fatto noi di mmad, con il metodo consapevole della circolarità che rifugge il livore o l’accusa priva di contraddittorio, ci ha fatto riflettere sugli intenti che quel Ministero dell’Istruzione avesse inteso perseguire attraverso la realizzazione di quel messaggio.

Desiderio di generare emozioni chiaramente espresso nel brief, volontà di condurre la strategia su un piano  che conducesse un valore indotto al brand Scuola, attraverso le opportunità che l’istituzione, con tutti i suoi limiti, riesce comunque ad offrire in genere. Awareness, comunque raggiunta.

Il dibattito fu spostato, per il caso in esame, sulla scelta esecutiva. Intento che non valeva quanto il contenuto espresso, ma opportuno per alcuni, ed altri.

Conoscendo il valore e la competenza dei professionisti coinvolti nella produzione del film pubblicitario, anche per precedenti iniziative, abbiamo convenuto che la reazione di critica fosse uno dei risultati attesi della strategia generale di comunicazione.

Alla fine, comunque vincente.

Marco G Matteoli

ultima revisione: dicembre 2014